Insieme alla Fiorentina, il Napoli è senza discussioni la squadra più interessante dell’estate 2013. La partenza di Mazzarri e Cavani ha innescato una rivoluzione che il presidente Aurelio De Laurentiis ha gestito con competenza e creatività.
Altrettanta creatività il patron ha infuso nella scelta della maglia da Champions League, presentata lunedì sera al San Paolo prima dell’amichevole col Galatasaray: una maglia mimetica, esattamente come le divise dei militari. E infatti, ha spiegato De Laurentiis, «la useremo come la nostra maglia da guerra».
Ora, si sa che lo sport è molto popolare proprio perché (tra le altre cose) sublima e veicola a livello inconscio molte pulsioni di battaglia, rappresentate negli stadi. Ma – in Italia e non solo – molti di questi stadi continuano a essere teatri di battaglie reali fra tifosi o fra ultrà e forze dell’ordine, in città con quartieri militarizzati. E quando si evita lo scontro fisico, non c’è partita durante la quale le soglie minime di decenza e buon gusto non vengono ampiamente superate.
Perciò, se si faceva volentieri a meno dell’idea di scendere in campo vestiti come per andare in guerra non è perché (come dice il generale Mauro Del Vecchio, già comandante delle forze Nato in Afghanistan) «la mimetica rappresenta qualcosa di “spirituale”. Il mondo militare è fatto di principi e comportamenti che mal si conciliano col mondo del calcio».
La ragione per cui la scelta del Napoli sembra piuttosto inopportuna è in realtà esattamente opposta: è fin troppo materiale. Si rende esplicito come non mai, stampandolo su una maglia da calcio il richiamo a qualcosa, la guerra, che più si lascia fuori dagli stadi e meglio è. Che siano stadi italiani o – peggio ancora – europei.